Archivio blog

venerdì 4 dicembre 2009

La cartina di tornasole: la Sardegna

Riflettendo su quanto ufficialmente affermato ancora oggi sui libri di storia italiana riguardo l'unificazione ad opera dei mille e del ruolo del Regno di Sardegna, ho provato a documentarmi proprio sulla storia dei sardi e della Sardegna, e la cosa mi ha portato a degli interessanti parallelismi con la storia d'Italia dall'unificazione fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Tutto ha inizio con il trattato di Londra del 2 agosto 1718 che assegnò l’isola al duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, che l'accettò non tanto volentieri se non per il relativo titolo regio: infatti fino ad allora i Savoia non erano mai stati a capo di un Regno ma soltanto di un Ducato.
Il Regno di Sardegna, che di sardo nella sua storia ebbe sempre ben poco, nel nome ha fatto sorgere una sorta di equivoco storico in quanto alla fine i sardi hanno sempre combattuto contro un regno straniero che portava beffardamente il nome della loro terra.
Il governo sabaudo tentò più volte nel corso della sua storia, inutilmente, di cedere l'isola in cambio di qualche altro possedimento. Poiché Vittorio Amedeo non riuscì a cedere l'isola, tentò di risolvere la situazione con una forte azione repressiva, come faceva qualsiasi governo di accupazione non gradito dalla popolazione, e inviò contingenti militari per tentare di contrastare il problema che i Piemontesi si affrettarono a bollare come generico "banditismo".
Nel 1732 gli successe Carlo Emanuele III, che provò diverse iniziative di ammodernamento, ma non avvenne alcun sostanziale cambiamento della situazione economica della popolazione, soprattutto per la opprimente presenza feudale, sulla quale non si effettuò alcun intervento. Ciò a dimostrare che il governo sabaudo non ebbe una decisa volontà di riformare la società sarda, mentre aumentò la pressione fiscale. In questa situazione, aumentarono la povertà ed il malcontento alimentando i movimenti di rivolta. Iniziarono continue ribellioni e sommosse che sconvolsero tutta la Sardegna e si accentuarono soprattutto con i grandi moti antifeudali e antipiemontesi del 1783. Nel 1789 numerosi villaggi si rifiutarono di pagare i tributi feudali, provocando un nuovo intervento repressivo, in difesa degli interessi feudali, per riportare con la forza l'ordine contro i soliti banditi. Il movimento di protesta della popolazione cominciò ad avere anche l'appoggio di intellettuali e uomini di cultura, soprattutto dopo il 1789, anche per l'effetto della Rivoluzione Francese.
Nel 1799 le truppe francesi occuparono il Piemonte costringendo i Savoia a riparare in Sardegna dove rimasero fino al 1814 dopo la sconfitta di Napoleone Bonaparte. Nell'isola si verificarono timidi tentativi di insurrezione, che culminarono con un tentativo di proclamazione della Repubblica Sarda, ma i rivoltosi vennero uccisi in conflitto a fuoco o condannati a morte. La presenza del sovrano nell'isola non attenuò il malcontento generale che sfociò nel 1812, in un anno di terribile carestia, nel tentativo di insurrezione noto come la congiura di Palabanda, guidato dall'avvocato Salvatore Cadeddu, che venne stroncato con durezza e si concluse con le esecuzioni di Giovanni Putzolu, Raimondo Sorgia e dello stesso Cadeddu.
I piemontesi erano interessati al più completo controllo del territorio ed allo sfruttamento delle sue ricchezze: risale a questo periodo il disboscamento selvaggio per la produzione di legname. A tale scopo, nel 1820 Vittorio Emanuele I promulgò l'editto delle chiudende, con il quale autorizzò la chiusura, con siepi o muri, delle terre comuni. Consentì, quindi, per la prima volta nella storia della Sardegna, la creazione della proprietà privata e venne del tutto cancellato il regime della proprietà collettiva dei terreni, che era stata una delle principali caratteristiche della cultura sarda. A ciò si aggiunga che la chiusura fu tutta in favore dei latifondisti e degli stessi piemontesi.
Nel 1847 con un atto giuridico venne decretata la fusione della Sardegna con la terraferma e l'estensione anche all'isola dello Statuto Albertino. Un atto che venne presentato come l'ottenimento da parte della Sardegna di parità di diritti con il Piemonte, mentre i diretti interessati, ossia i sardi, non poterono che vederlo come la definitiva cancellazione dei loro valori storici e culturali.
Nel 1860 avvenne qualcosa di eclatante: Vittorio Emanuele II, il padre della patria, il futuro re d'Italia che di lì a pochi mesi avrebbe incontrato Garibaldi a Teano, gettò nuovamente la maschera tentando ancora una volta di cedere la Sardegna alla Francia! Sappiamo poi però come è andata a finire.
Be' la Sardegna nel 1861 al momento dell'unificazione era sotto il giogo piemontese già da 143 anni e non gli fù mai dato in alcun modo beneficio degli influssi positivi di coloro che si autoproclamavano locomotiva d'Italia. In un lasso di tempo inferiore invece i Borbone, che dal 1734 erano i leggittimi sovrani del Regno delle Due Sicilie, ne fecero una grande potenza economica europea, come documentato nella esposizione internazionale di Parigi del 1854.
Sono molte le similitudini con quanto poi accaduto con le regioni meridionali dopo l'unificazione, guardiamole una per una:
1 - Cominciamo dal nome: Italia è il nome che per primi i Greci diedero alla Calabria e che poi fu esteso al resto della penisola, e mai oltre quella che i romani chiamavano Gallia Cispadana e che correttamente la Lega adesso chiama Padania.
2 - I Padani oggi (come i Savoia allora) vogliono liberarsi della zavorra, ovvero di quelli che chiamano terroni!
3 - Altra importante similitudine l'aver bollato la ribellione del popolo sardo come generico banditismo, così come si fece più tardi con le ribellioni dei duosiciliani bollate genericamente come fenomeno di brigantaggio;
4 - Infine lo sfruttamento delle materie prime accompagnato dall'immiserimento delle popolazioni sarde, così come fecero con quelle duosiciliane, applicando una fortissima pressione fiscale.
E che cosa è cambiato per la Sardegna negli utlimi 148 anni? Ha continuato ad essere depauperata delle risorse minerarie ed economiche, dissanguata della sua forza lavoro costretta ad emigrare nelle predestinate città industrializzate della val padana e quindi intrappolata nel suo destino a quello del restante mezzoggiorno d'Italia.
In conclusione la Sardegna da 291 anni subisce le scelte di una classe dirigente di scuola o di estrazione settentrionale che purtroppo continua nel solco della peggiore tradizione sabauda a considerarla come una colonia lontana, da sfruttare nelle sue risorse umane e naturali e genericamente da evitare tranne che per trascorrere le vacanze estive.

Nessun commento: